sabato 26 giugno 2010

La barella corre d'urgenza

E' tarda sera.  La barella su cui sono sdraiata corre d'urgenza verso una sala operatoria
Indosso solo un camice e non ho i miei occhiali da miope. Non vedo nulla, ho freddo e tremo di paura.  
L'infermiera non parla, non tenta neppure di tranquillizzarmi, cerca solo di arrivare al più presto sfrecciando in un labirinto di corridoi freddi e silenziosi illuminati al neon.
Non mi sono mai sentita così piccola e sola come in questo momento: è come se fossi in una specie di giudizio universale
Cerco conforto dentro di me e seguo alcune parole senza senso. Non so, forse sto pregando..
Arriviamo davanti alla sala operatoria ma la porta è chiusa e ci fanno aspettare fuori. 
Non c'è tempo da perdere e mi infilano un ago che chiamano 'farfalla' che evoca in me un volo leggero in un mondo di fantasia e di fiabe che svanisce non appena l'ago si fa strada nel dorso della mano, scricchiolando come un mazzetto di bastoncini spezzettati.. Non sento alcun dolore, forse sono pietrificata dalla paura.
La porta si apre e riparte la mia barella. All'improvviso le parole che cercavo di capire si ricompongono nella mia testa, luminose e precise, come un puzzle appena finito e formano un suono:  “chissà-se-ne-usciremo-vivi!”.  
Mi rimbomba fortissimo il cuore nel petto come se dentro fossi vuota e ricomincio a tremare come una foglia.
Entriamo in sala operatoria: c'è un forte odore di disinfettante
E' un odore che cancella tutto e non appartiene a nessuno. Non c'è nessun un odore familiare che io possa riconoscere e al quale possa aggrapparmi, nulla che porti la mia mente lontano verso qualcosa di piacevole, solo per un solo attimo di conforto e per placare la mia sensazione di estraneità a tutto questo. 
Sono sola con il mio corpo che fallisce e il bimbo che si sta ancora formando dentro di me.
Mi fanno distendere sul tavolo operatorio che sembra solo una tavola stretta, al centro della sala.
Vedo con i miei occhi miopi quattro fari enormi che dal soffitto puntano dritti su di me e intorno sento una baraonda di parole: sono medici e infermiere che parlano fra loro e si accordano rapidamente per l'operazione. 
Forse la miopia stavolta è un aiuto per estraniarmi da questa realtà che non riesco ad accettare.
Alcune infermiere mi parlano dolcemente chiamandomi per nome, altre cominciano a cercarmi le vene inserendo freneticamente gli aghi nelle braccia, sulle mani e nei polsi.
Accanto a me si ferma un'infermiera che comincia a parlarmi poi mi mette una penna e un foglio in mano e mi chiede di firmare. Faccio uno scarabocchio in una zona che mi sembra quella indicata, mentre lei continua a parlarmi a raffica per mettermi a conoscenza di qualcosa che difficilmente riesco a seguire, è come un rumore in sottofondo. All'improvviso si interrompe e mi domanda: 
-"..Soffri di allergie?.. Hai avuto malattie importanti in passato?.."
- "Si, forse ...  non so.. una volta sono svenuta con la penicillina..  Malattie.. varicella, mi sembra ..."
Annaspo nel mio passato cercando disperatamente di ricordare qualcosa di me e della mia infanzia, qualcosa che ho sempre saputo ma ora è svanito e mi sembra di cercare dettagli nella vita di qualcun'altro. 
L'attesa mi consuma e intanto sto facendo i conti con me stessa: 
'E' colpa mia e del mio corpo se devono far nascere così presto il mio bambino.. Non è adesso il momento, ventisette settimane è troppo presto! .. Perché la situazione è precipitata? ..Che sta succedendo, perché sto male e non riesco a respirare.. Che accadrà ora al bambino? ..Non ce la faremo... non tutti e due... Non doveva andare così, non doveva ...' e intanto mi sento soffocare. 
Prego e tremo. 
Ecco, ora è tutto pronto, mi mettono una mascherina verde sul viso e il medico, con una voce decisa e rassicurante mi dice di respirare profondamente e di contare fino a ... 

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